Erano stati giorni, quelli, di
pesantezza e ferite dentro la mia anima.
Giorni in cui il mio spirito si era piegato e ritirato dietro una sorte avversa
che sembrava non volermi lasciare in pace. La stanchezza fisica e mentale si
era impossessata della mia esistenza e mi trascinava lungo vie buie,
appesantita da fardelli ingombranti sulle spalle ricurve. Non sapevo neppure
più chi fossi, cosa volessi e perché stessi respirando ancora ma… per fortuna
la mia forza lascia sempre uno spiraglio, una fessura aperta affinché anche una
piccola flebile luce possa comunque attraversare il buio e quel giorno, in fila
in un ambulatorio medico, dentro quella fessura ho incontrato il sorriso di un
angelo adagiato ancora dentro la pancia della sua mamma.
L’alzheimer è una malattia insidiosa,
devastante e irrisolvibile sia per l’ammalato che per i parenti che se ne
prendono cura e stava logorando mia madre fisicamente e mentalmente - e moralmente me - ormai da molti mesi, ed erano
diventate quotidianità le trafile tra medici, ospedali, pratiche burocratiche e
assistenti sociali.
Anche quella mattina ero in fila per
delle ricette presso l’ambulatorio del medico di famiglia, pensando alle mille
altre cose che avrei potuto e dovuto fare dentro quel tempo che stavo invece spendendo
obbligatoriamente in piedi e in attesa del mio turno, quando lo sguardo di una giovane donna incinta che
parlava con l’infermiera incrociò il mio. La vidi sorridermi una, due, tre volte,
tra una richiesta e l’altra di prescrizioni di analisi. Poi la sentii
chiedermi:
“Anche lei è incinta?”.
“No.” - le risposi io alquanto diverta e
pensando quanto fosse buffa quella domanda fatta quasi con una coscienza tale
da non voler essere smentita.
“Mi scusi ma lei è pressappoco vestita
come me e credevo…” - aggiunse quindi con imbarazzo.
Le sorrisi anche io pensando che in
fondo aveva ragione. Da sotto il piumino il pantacollant e il lungo maglione di
lana che si vedevano potevano far presupporre una probabile pancia da mamma in
attesa che però… in realtà non c’era. E continuando a sorridere le risposi che
non avevo più l’età ormai per diventare di nuovo madre.
“Ma lei è ancora così giovane e un altro
figlio può sempre pensare di averlo, non crede??”. - Continuò ad incalzare lei quasi
volesse convincermi che ero ancora in grado di generare vita dentro di me! E
così cogliendo lo spunto di quel fraintendimento ci siamo messe a chiacchierare
sulla bellezza dell’essere madre e di come i figli possano riempirti la vita.
“Questa bambina per me è stata una
benedizione. – mi confessò poi ad un tratto - E’ morto mio fratello qualche
anno fa e da allora non ero più riuscita ad essere felice, a stare bene.”
“Mi dispiace - le dissi con una fitta al cuore - so cosa significa perdere una persona che si ama”.
“Mi dispiace - le dissi con una fitta al cuore - so cosa significa perdere una persona che si ama”.
“Era mio fratello gemello - mi confidò
ancora - e per me è stato un dolore infinito”.
“Già, - le risposi guardandola con
dolcezza - un dolore che non se ne va e sembra che tutto sia successo ieri”.
Lei mi sorrise di nuovo annuendo, mi
accorsi però della serenità che c’era in quel sorriso.
“E’ vero - mi disse ancora - ma alla
fine arriva la rassegnazione. Non le nascondo però che per superare il dolore
ho dovuto ricorrere ad uno psicoterapeuta. C’è stato chi mi diceva: aiutati che
Dio ti aiuta, oppure che in molti avevano avuto dolori come il mio, se non
addirittura più grandi, e li avevano superati con coraggio da soli, ma io mi
sentivo male e non riuscivo ad uscirne. Avevo bisogno di aiuto ma nessun era
disposto a comprendermi…”
Come la capivo! Come conoscevo i sintomi
di quella sofferenza simile a tanta altra generata da condizioni diverse e
anche la solitudine. La solitudine del dolore!
La confortai con dolcezza:
“Ogni dolore appartiene alla persona che
lo prova e deve essere elaborato per quello che è. Deve essere rispettato! Non
ha importanza che ci siano altri con dolori forse più grandi di quello che si
sta provando, è giusto avere considerazione del dolore di ogni singolo essere e
di qualsiasi grandezza o profondità esso sia!” – e con dolcezza ribadii che
ogni sofferenza è grande per chi la prova e non può essere giudicata dagli
altri con un metro o peso che non ci appartiene e che non esiste.
“E poi, per riconoscere di non farcela
da soli, di aver bisogno di aiuto, ci vuole un grande coraggio. - continuai -
Ammettere con se stessi e con gli altri che si ha un problema, ci vuole
coraggio. Ha fatto bene ad andare da uno psicoterapeuta se lo ha ritenuto
giusto e se poi l’ha aiutata.”
Lo sguardo di gratitudine scaturito dalle
mie parole su quella delicata e forte donna fu poi una carezza sulla mia pelle
e quando alla fine, ottenute le ricette, la futura mamma mi salutò con il suo
bel sorriso, poggiando la mano sul mio braccio dicendomi: “E’ stato bello
incontrare una persona come lei. Grazie per la carineria che ha avuto nei miei
confronti e per avermi ascoltato” - io mi sentii grata per quell’incontro che
il cielo aveva voluto regalarmi e le risposi:
“Sono io a doverla ringraziare…”
E sì, perché ero stata io, quella
mattina, ad aver ricevuto il dono magnifico di un doppio sorriso: quello di una mamma e della
piccola bimba dentro la sua pancia. Un doppio sorriso che mi riempì il cuore e
che ringraziai più di una volta per avermi ridato la voglia di aprirmi ancora
alla vita. La vita che sempre e comunque… germoglia!!
Pubblicato nel 2014 sul libro: "Insieme, Autori per la Sardegna" a sostegno delle popolazioni colpite dall'alluvione in Sardegna del 20 novembre 2013
Nessun commento:
Posta un commento